Davide Zizza (1976)
è nato a Crotone, dove attualmente vive e opera. Dopo la plaquette
Mediterraneo (2000), ha pubblicato la
raccolta di poesie
Dipinti &
Introspettive (Rupe Mutevole, 2012). Un suo breve saggio,
La lettura e la scrittura come etiche
dell’ascolto, è presente nel volume collettaneo
Ascolto per scrivere (Fara Editore, 2014). Ha pubblicato in Grecia
alcuni articoli dedicati a Salvatore Quasimodo, Jules Laforgue e Robert Lowell.
La sua seconda raccolta di versi,
Ruah
(Edizioni Ensemble) è del 2016. Sempre nel 2016 la sua poesia
Pop Art Marilyn, dedicata a Marilyn
Monroe, viene pubblicata nell’antologia
Umana,
troppo umana curata da Fabrizio Cavallaro e Alessandro Fo (Nino Aragno
Editore). Le poesie inedite
Cartolina di
Mallarmé,
L’ironia di Ulisse,
La musa dell’uomo solo,
Pesca notturna,
Quasi,
Nello stupore che
precede,
Ferita, vengono inserite
nell’Almanacco di poesia “Quasi a filo di luna” (LietoColle, 2017).
Lacinion (dedicata al Promontorio di
Capo Colonna, a Crotone) viene inclusa nell’antologia
Come sei bella. Viaggio poetico in Italia, curata da Camillo
Langone (Aliberti Compagnia editoriale).
«Il
titolo del libro di poesie di Davide Zizza è una parola ebraica: ruah. Più che una parola, un
termine-chiave dai plurimi significati nel pensiero su Dio, l’uomo e il mondo,
sviluppato dall’ebraismo. Presente anche nello Zòhar a indicare una delle tre anime dell’uomo,
è difficile da tradurre in maniera univoca: è, approssimativamente, ‘soffio’,
‘vento’, ‘respiro’ e pure ‘spirito’ nell’atto della sua emanazione. Quale
sentiero semantico essa prenda qui, tra i tanti possibili, viene indicato
dall’autore stesso con l’epigrafe che apre la prima sezione, «In principio»: «Anche Dio
nel respirare / inspirò perché potesse / diminuire e far posto al mondo. / Nel
liberarlo, il soffio / si assorbì a tutta la terra». Dio che inspira, diminuisce
e fa posto al mondo, quindi. […] Dove subito s’avverte una declinazione del
tema – di tanto rilievo da far tremare i polsi – in termini feriali e domestici
col suo rivolgersi ad un tu
senza invaderlo della presenza del soggetto, colto invece in un ritrarsi che
l’apparenta, dal basso, ad una versione ‘debole’ della figura divina. […] Quale
percorso disegna la scrittura di Zizza tra queste due sponde del respiro, del
soffio – insieme phoné
e pneuma – messe
così decisamente ad esponente della raccolta? Pare, in generale, di
intravvedere un’attenzione alle figure minime della «fisica degli esseri», agli
interpreti – animali, naturali e umani – di una medesima «invisibile corsa» che
s’arrampica quieta «sul filo del giorno». Da questa postazione lo sguardo s’intrattiene
sui gradini della «scala di dolore / e di consolazione», dà vita all’originale
ripresa di personaggi classici (come «Caronte, ormai in pensione»), fa proprio,
ritenendolo ancora un valore essenziale, l’esercizio della memoria, consapevole
di una «galanteria del tempo» che spinge a «ridonare senso a ciò che è stato».
Una memoria che consente di non procedere ad una liquidazione
frettolosa della tradizione, rievocando, in alcuni punti, l’incanto e la grazia
di certi quadri della poesia meridionale (da Gatto a Sinisgalli a Bodini).»