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martedì 5 marzo 2024

Recensione a cura di Lorenzo Spurio IDOLO HOXHVOGLI, La comunità dei viventi, Clinamen, Firenze, 2023

 


Giunge dopo un lungo periodo dal precedente lavoro letterario – esattamente dopo otto anni – l’opera di Idolo Hoxhvogli dal titolo La comunità dei viventi. Edita da Clinamen di Firenze nel 2023, è anticipata – in copertina – da un dettaglio di un’icona di epoca bizantina che ritrae un inconsueto San Cristoforo Cinocefalo vale a dire in sembianze umane ma con testa di canide. L’idea che il lettore si crea ben prima di aprire il libro ha a che vedere con un senso di metafisico – l’icona che richiama la tradizione cristiana, prettamente quella ortodossa – e di assurdo com'è appunto nella forma dell’uomo-cane rivestito di sacralità, degno erede di scenari disturbanti e visuali grottesche di bestiari medievali che, tra lo sfarzo delle patine dorate, non di rado proponevano esseri multiformi, animali irreali, sembianze camaleontiche di tradizione arcana e di un fascino ancor oggi assai denso.

Hoxhvogli, che è filosofo ben prima di essere poeta e narratore, consegna al lettore un’opera ambigua e polifunzionale, radicata tanto nella religione che nella rivisitazione della stessa, sia cristiana che coranica, ma anche induista (i riferimenti non mancano). L’opera affonda nella dialettica personale di un io lirico che ricerca spiegazioni dinanzi ai dilemmi, alle storie irrisolvibili, alle questioni oggetto d’interpello personale e collettivo dalla notte dei tempi. Dalla filosofia alla presa di coscienza del reale per giungere a una critica aspra e mai polemica, lucida e intransigente, nei confronti di una contemporaneità vacua e irreprensibile, di un consumismo irrefrenabile, di una sempre più accentuata alienazione dell’uomo e d’ingabbiamento della sua identità, della sua creatività, della sua forza energica e volitiva.

L’autore, nato a Tirana nel 1984 ma residente nelle Marche, a Porto San Giorgio, da tanti anni, partorisce un nuovo tassello importante e decisivo, frutto del suo perlustrare atavico e ricorrente nei meandri di un percorso ontologico che lambisce l’onirico. È come se l’Autore – che sciorina idee, propone temi, passa da un discorso all’altro come in tante “pillole” da ampliare nel proprio approfondimento personale – vagasse in un ipotetico labirinto insidioso e, per cercare di giungere all’unica possibile via di fuga, tentasse varie strade, soffermandosi sulla loro validità, circostanziando immagini decisive, parole-chiave, oggetti d’analisi che meritano riflessione e momentanea stasi prima di riprendere la ricerca. “Nel labirinto il mezzo è l’intreccio, il fine è una negazione: imprigionare, disorientare l’uscita” (50).

L’andamento è discorsivo, a tratti persino argomentativo, teso a dare la configurazione di un accadimento nei suoi meccanismi e circostanze fattuali atte a determinarne le funzioni e gli esiti in uno svolgimento temporale. In altre circostanze ci troviamo dinanzi all’agiografia, alla cronica, al resoconto, al rapporto di viaggio, addirittura all’exempla e all’epistola. Sono tutti generi che, a suo modo e con il suo indomabile apporto creativo, volente o nolente, l’Autore attraversa, conduce e impersonifica.

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