Sandro Orlandi Scrittore, poeta,
cantautore e compositore è nato a
Roma nel 1951. Vive a Macerata con sua moglie Maristella e con lei condivide il
bisogno di esprimersi attraverso la scrittura, principalmente, ma anche la
musica delle sue canzoni. Medico ospedaliero ormai in pensione, può finalmente
dedicarsi alla sua passione di scrivere racconti, poesie e romanzi, dopo essersi
cimentato a lungo nel comporre brani musicali, di cui è stato compositore, sia
nei testi che nelle melodie. Ama cimentarsi nell’inventare personaggi,
situazioni, storie di vita vissuta e quotidiana in cui poter esprimere il
proprio pensiero, prendendo spesso spunto da fatti realmente accaduti,
convinto, com’è sempre stato, che la realtà possa essere interpretata anche in
modi diversi e che la stessa storia può avere significati inconsueti se viene analizzata
da diversi punti di vista. Due i cd incisi con l’aiuto di un suo amico musicista
arrangiatore, per un totale di trenta brani, alcuni dei quali premiati;
numerosi sono i romanzi, le raccolte di racconti, le sillogi poetiche
pubblicate, e diversi i riconoscimenti e i premi conseguiti. La sua ultima pubblicazione, sempre con
la casa editrice Antipodes di Palermo, con cui da anni ormai ha scelto di
collaborare, è la sua autobiografia, ma sta già lavorando al suo nuovo romanzo.
Dove hai attinto la
predisposizione per la musica e com’è nato il desiderio di creare testi?
Pur non avendone consapevolezza, fin da
ragazzo ho avuto la predisposizione a “comporre musica” non solo ad ascoltarla.
Forse ho risentito del periodo felice in cui vivevo, con il pop che invadeva il
mondo, e il richiamo per me fortissimo di gruppi come i Beatles e i Rolling
Stones. Credo però che ancora di più abbiano contribuito personaggi come Luigi
Tenco e Fabrizio De Andre’, ma anche Bob
Dylan e Joan Baez, che mi hanno fatto scoprire un modo diverso di comporre
canzoni. Una melodia poco commerciale può far da supporto a un testo valido per contenuti e di
stampo poetico.
A rischio di sembrare un nostalgico,
cosa che non sono, credo che i testi delle “canzoni” di allora fossero molto
più validi di quelli di oggi, e c’era più attenzione alla composizione
musicale. Certo a fronte di quei brani ormai famosi e passati alla storia c’erano
anche le canzonette, o i tormentoni da spiaggia, che però mi hanno sempre
lasciato indifferente. All’epoca di quelli che oggi si chiamano “gruppi” e che
allora venivano definiti complessi musicali, composti da quattro o cinque
persone in grado di “orchestrare” con pochi strumenti un brano melodico o rock,
io scelsi di suonare la batteria. Mi immergevo completamente nel mio ruolo,
concentratissimo sul ritmo che ho sempre sentito dentro di me. Con ottimi
risultati devo dire. Solo dopo sono arrivato alla chitarra e con essa, negli
anni, da adulto, ho cominciato a
considerarla davvero “uno strumento” di espressione di quanto avevo da dire, a
parole e in musica.
A chi sono ispirati
i titoli delle tue canzoni? Quale ti rappresenta maggiormente?
Per me le canzoni sono racconti in
versi, valorizzati da una melodia adeguata che ne aumenti l’espressività. Molto
difficile, impossibile direi, scegliere quella che più mi rappresenta, ma
sicuramente alcuni brani come “Raffaella” o “Due lenzuola bianche”, “Una casa
in fondo al mare” o “Ninna nanna” sono tra quelli a cui sono più affezionato.
Vi è stato un totale
cambiamento nel tempo che ha modificato l’ascolto musicale, dagli Lp alle
musicassette, sino ai compact disc e ai lettori di Mp3. A tal proposito in qual
misura lo ritieni favorevole. Internet ha ampliato o causato troppa mescolanza
nel panorama musicale?
La musica è ovunque ma soprattutto
dentro di noi. A ben vedere, se guardiamo con occhi diversi la realtà che ci
circonda, ci accorgiamo che tutto quel che ci circonda può racchiudere in sé un
significato artistico in senso più ampio, ma per capirlo dobbiamo fare come
quando si guardano le stelle: spegnere tutte le luci superflue, in altre parole
eliminare l’inquinamento luminoso. Per la musica bisogna guardarsi intorno
eliminando l’inquinamento acustico esterno, ma soprattutto quello determinato
da false convinzioni inculcateci dalla nascita. Anche il movimento di un astro
può indurre a una melodia, come il volo di una farfalla, lo scorrere di un
torrente, la pioggia che batte sul tetto o il silenzio della neve che cade. La
natura, nostra madre, ce lo mostra, se siamo in grado di apprezzarlo. Orecchio
musicale, che altro non è se non orecchio interiore.
Certo oggi ascoltare musica è molto
più semplice, diretto, alla portata di tutti, e i sofisticati mezzi a
disposizione sono riusciti ad eliminare il famoso fruscio dell’LP, il
danneggiamento naturale dei Cd, la rottura del nastri delle musicassette, e si
ottiene un suono sempre più pulito, assoluto. Ma la troppa tecnologia ha i suoi
lati negativi, i suoi “contro”, e la musica diventa troppo invadente, facile da
trasmettere, magari anche senza senso. Come mai negli ultimi anni sono tornati
di moda gli Lp?
Quali delle tue
passioni ami far emergere oltre la musica?
Ho iniziato quasi per sbaglio a
scrivere all’età di diciassette anni. Era solo una raccolta di pensieri più che
poesie. Poi fino ai quarant’anni circa non ho più scritto niente, preso com’ero
a cercare di vivere la vita degli altri. Ma un giorno, ammirando mia figlia di
tre anni che dormiva beata mi è ripresa la smania e ho ricominciato con le
poesie. Ho proseguito così quasi di nascosto componendo canzoni con la
chitarra, poi mi sono messo a studiare per potermele trascrivere e depositare
alla SIAE, poi le ho incise. Col passare degli anni ho iniziato a creare
storie, racconti, per poi approdare ai romanzi, arrivando perfino a un piccolo
saggio teatrale e in ultimo all’autobiografia. Naturalmente nel frattempo ho
continuato a lavorare come medico, a studiare e a frequentare scuole di
scrittura, ma sempre senza smettere di scrivere. Questa, a guardar bene, è la
mia vera passione. Le canzoni, i racconti, le poesie, i romanzi, fanno parte di
qualcosa di unico che porta a ciò che più mi appaga: poter esprimere e
condividere ciò che provo e penso di quel che mi circonda.
Ritieni importante che
vi siano talent show che creano nuovi artisti?
Sui talent show non mi pronuncio, ma
credo che sarebbe molto importante e giusto avere più rispetto per l’impegno e
il talento vero, cosa che riguarda tutto il campo artistico, da sempre
sottovalutato e sminuito in Italia, senza la solita rincorsa a far soldi facili
ai danni di chi l’arte la crea, senza assistere insomma al solito mercimonio
sulle spalle di chi dipinge, scrive, suona e così via.
Come nasce una
composizione musicale, che emozione dona al suo ideatore e cosa deve offrire al
pubblico? Stai lavorando a nuovi progetti?
Prima la musica, poi il testo.
Personalmente se la melodia mi suscita un’emozione, questa poi può
concretizzarsi nelle parole che la esprimono, o tentano di farlo. Difficilmente
accade il contrario. È davvero appagante riuscire a scrivere un brano valido
per la musica e le parole, poterlo incidere o, per quelli che amano il brivido
e l’esibizione, cantare da un palco in diretta. Non credo ci sia niente di più
emozionante e coinvolgente. E questo prescinde dal successo e/o dal guadagno.
Devo ammettere che la mia autobiografia mi ha lasciato abbastanza provato, ma è
ora che riprenda a scrivere, sento di averne bisogno. Stavolta però voglio
dedicarmi a qualcosa che prenda spunto da alcuni episodi realmente accaduti e
che mi sono rimasti impressi.